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Quando il complotto giudaico mi salvò la vita

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Bentornati nel mondo di  La mia cartella clinica da 20 Kg (lastre escluse).

Attenzione: il contenuto di omofobia che è toccato subire alla nostra Marta Maria Casetti raggiunge un livello tale che questa storia andrebbe pubblicata con sopra il bollino “tutto vero”. 

 

Ho ancora due superstizioni.‭ ‬Sono arrivata a mettere i cappelli sul letto,‭ ‬aprire gli ombrelli in casa,‭ ‬buttare il sale nel lavandino senza balletti‭; ‬passare sotto le scale è un problema solo se sembrano poco stabili.‭ ‬Ma non nomino‭ ‬una certa opera di Giuseppe Verdi e quando passo  nelle vicinanze di‭ ‬Prato allo Stelvio (Prad am Stilfserjoch) mi prodigo in gesti scaramantici. La Potenza del Fato verdiana la possiamo lasciar stare dov’è, a differenza dell’ameno comune sudtirolese non riguarda questo racconto. Veniamo piuttosto alla ridente cittadina in provincia di Bolzano (Bozen‭)‬.

Natale‭ ‬1988:‭ ‬la località,‭ ‬raccomandata da amici di famiglia,‭ ‬ci attira con le sue bellezze naturali,‭ ‬il suo speck e la sua vicinanza con dei piacevoli percorsi di sci di fondo.‭ ‬In una discesa vado davanti a papà,‭ ‬che perde l’equilibrio e mi travolge.‭ ‬Il suo sci si infila nel mio piumino,‭ ‬a meno di mezzo centimetro dalla mia cassa toracica.‭ ‬Si capisce che il più grosso va sempre a valle,‭ ‬si compra un nuovo piumino.

Natale‭ ‬1989:‭ ‬papà si alza nella notte nonostante un’influenza lo stia mettendo a terra.‭ ‬L’influenza lo mette a terra letteralmente,‭ ‬nel senso che mamma lo deve raccattare dal pavimento su cui è svenuto.‭ ‬Non ci sono conseguenze serie,‭ ‬la vicenda viene archiviata come aneddoto.

Natale‭ ‬1990:‭ ‬tutto bene in loco,‭ ‬ma dopo Capodanno‭ ‬finisco in ospedale in grande stile. Guarisco, e ci ripromettiamo una lussuosa vacanza l’anno dopo, come risarcimento.

Natale‭ ‬1991:‭ ‬nemmeno andiamo,‭ ‬sono di nuovo in ospedale da fine dicembre a gennaio inoltrato. Decidiamo che la volta dopo sarà quella buona.

Intanto non ci rendiamo conto che mia madre è un po‭’ ‬troppo nervosa.‭ ‬Durante la primavera è normale,‭ ‬la sua unica figlia ha appena rischiato la vita due volte in meno di un anno.‭ ‬A fine maggio è tesa come sempre per il suo compleanno.‭ ‬Il caldo e la clausura nelle colline liguri giustificano un’estate di litigate.‭ ‬La ripresa del lavoro in autunno la stanca tanto da farla dormire più del solito,‭ ‬ma è prevedibile visto che passa ore e ore chiusa in studio a preparare lezioni.‭ ‬Non vuole avere alcun rapporto sociale o quasi,‭ ‬ma è sempre stata riservata.‭ ‬Se a tratti scoppio davanti al suo gelo,‭ ‬i miei sbalzi d’ormoni adolescenziali spiegano la tensione madre/figlia.‭ ‬Mio padre lavora per vivere.‭ ‬Pianifichiamo di rilassarci tutti nelle vacanze invernali.

Natale‭ ‬1992:‭ ‬i problemi domestici superano il livello di guardia quando una mattina mamma dichiara che‭ “‬tornerà più tardi‭”‬,‭ ‬prende l’auto e sparisce all’orizzonte.‭ ‬Con incoscienza da quindicenne ignoro totalmente l’ipotesi che mamma e auto siano in fondo a un dirupo e trascino papà alla‭ ‬Konditorei locale, dove lo obbligo a mangiare un’enorme fetta di Sachertorte. Mamma torna poco prima del calare del sole; si caricano i bagagli in auto, si torna a casa a notte fonda. Si ammette che forse c’è un problema in famiglia.

Per scongiurare il rischio che lo stress provochi una ricaduta della piastrinopenia,‭ ‬che non si sa da dove venga e quindi potrebbe,‭ ‬e quindi dovrebbe,‭ ‬venire dai traumi della mia psiche,‭ ‬mi si propone di piazzarmi su un lettino a raccontare la mia vita a una signora.‭ ‬Sono una brava ragazza che segue i consigli,‭ ‬sono curiosa di come sia una cosa del genere fuori da un film,‭ ‬e comunque che male vuoi che faccia:‭ ‬accetto.‭ ‬Se la signora ha l’aria un po‭’ ‬arcigna è meglio:‭ ‬le donne che non mi ispirano fiducia sono di solito quelle dolci,‭ ‬concilianti e femminili.

Così iniziai a raccontare,‭ ‬sdraiata su un comodo letto di design,‭ ‬nella penombra,‭ ‬alla signora appena fuori dal mio campo visivo.‭ ‬La signora dottoressa psichiatra,‭ ‬come mi aveva spiegato,‭ ‬non psicologa,‭ ‬aveva una laurea in Medicina ed era una professoressa rispettata anche all’università.‭ ‬Nel suo silenzio spiegai la mia vita passata nei dettagli,‭ ‬alternata all’andamento della settimana.‭ ‬Andai avanti mesi:‭ ‬tram lungo i‭ ‬Bastioni, attesa, un’ora sul lettino, cospicuo assegno ogni mese, giro al Libraccio, tram. Intanto ero in prima liceo, e avevo una cotta che non potevo negare nemmeno a me stessa.

La Chiara Russo della Prima C.‭ ‬L’anno prima mi aveva tenuto compagnia sul bus quando mi ero beccata la varicella durante la gita del gemellaggio in Slovacchia.‭ ‬Se il Filippo Scarpino mi avesse versato un altro bicchiere di vodka in quello che nelle leggende di classe sarebbe stato descritto come‭ “‬l’ostello del socialismo reale sui Monti Tatra“, probabilmente mi sarei dichiarata. Ero rimasta abbastanza sobria da invidiare le coppie che si formavano nelle stanze e andare a letto. Con il senno di poi, la vodka sarebbe stata meglio. Persino la trielina sarebbe stata meglio, temo.

Tre anni prima avevo scoperto l’esistenza dei gay,‭ ‬dando un senso alle mezze parole che non capivo del tutto‭ (‬late bloomer,‭ ‬l’ho già detto‭; ‬idiota,‭ ‬potrei commentare‭) “‬frocio‭” ‬e‭ “‬ricchione‭”‬.‭ ‬Due anni prima avevo scoperto che Achille e Patroclo stavano in quel mondo lì,‭ ‬con Freddie Mercury a far da colonna sonora‭; ‬un anno prima che c’erano anche delle donne così.‭ ‬Avevo capito quello che avevo visto in Victor Victoria, sia pure alla seconda visione. Paralizzata dall’idea che la mia castità non fosse dovuta a virtù ma a vizio, avevo capito che anche io ero di quelli lì.

Un giorno presi un grosso respiro e dal lettino sputai il rospo della Chiara Russo.‭ ‬E dalla poltrona dietro al lettino mi sentii spiegare alcune cose.‭ ‬Intanto,‭ ‬ero malata.‭ ‬Ero malata,‭ ‬diceva la dottoressa‭; ‬e facevo schifo,‭ ‬diceva la signora.‭ ‬Schifo ovvio e condiviso da chiunque,‭ ‬che mi avrebbe portato a una brutta fine se non avessi capito bene quanto facessi schifo e avessi agito di conseguenza.‭ ‬Ero una pervertita,‭ ‬una malata di mente,‭ ‬potevo anche finire in ospedale,‭ ‬e sicuramente nessuno mi avrebbe mai voluto vicino a sé,‭ ‬spiegava la psichiatra.‭ ‬Perché,‭ ‬sia chiaro,‭ ‬facevo schifo:‭ ‬pervertita e malata.

Intanto,‭ ‬non si sarebbe detto nulla a nessuno.‭ ‬Ai miei genitori avrei spezzato il cuore.‭ ‬Avrei perso tutti gli amici.‭ ‬In chiesa non andavo più,‭ ‬e anche perché sapevo di essere parte di quel peccato:‭ ‬il che confermava quanto fossi oggettivamente,‭ ‬naturalmente,‭ ‬malata e condannata.

Mi convinsi.‭ ‬Quelli lì c’erano,‭ ‬certo,‭ ‬ma non c’erano nella vita reale.‭ ‬C’erano sugli schermi o nei libri.‭ ‬Spesso avevano vite drammatiche,‭ ‬peraltro.‭ ‬Era come la droga,‭ ‬che io non avrei mai pensato di toccare,‭ ‬perché si sa che a farti una canna finisci a morire di eroina.

Dal lato degli amici,‭ ‬avevo finalmente una compagnia con cui essere me stessa e non potevo rischiare di perderla per colpa di me stessa.‭ ‬Avevo anche iniziato a scrivere sul giornale scolastico,‭ ‬Scrivi che ti passa,‭ ‬e da quando avevo procurato il testo di‭ ‬Curre curre guaglió per il‭ ‬numero speciale occupazione il Marco Fumagalli della seconda E mi faceva il filo,‭ ‬mettendomi tra l’esaltazione di non essere solo una secchiona indesiderabile e il terrore di farmi scoprire.‭ ‬Tutto andava a gonfie vele,‭ ‬non potevo rovinarlo.

Dal lato casalingo,‭ ‬non era il caso di aggiungere benzina sul fuoco delle esplosioni materne.‭ ‬Il cattolicesimo di mio padre lo escludeva a priori.‭ ‬In un’esplosione di stereotipo italiano,‭ ‬finii dalla nonna.‭ ‬Le raccontai storie di come si diceva che la Zanetti della seconda F fosse lesbica,‭ ‬e di come c’era questo cantante inglese che era gay.‭ ‬Nata a metà dell’epidemia di Spagnola a qualche chilometro da Roncole di Busseto, anni da responsabile del reparto impermeabili alla Fimar di Piazza Duomo, la nonna Maria mi raccontò che un suo amico con cui lavorava negli anni ’50 aveva vissuto tutta la vita con un uomo, che alcuni gli sparlavano dietro ma lei l’aveva sempre difeso, era così bello ed era felice con il suo fidanzato. Mi ci vollero anni per capire, troppo tardi, cosa la nonna avesse capito e cosa mi volesse dire (idiota,‭ ‬davvero‭)‬.

Continuai a raccontare la verità,‭ ‬tutta la verità,‭ ‬soltanto la verità,‭ ‬solo dal lettino nella stanza con le tende tirate sulla vista sui Bastioni.‭ ‬La signora psichiatra ribadiva il disgusto.‭ ‬Io ci mettevo del mio:‭ ‬un’educazione a non essere sconveniente che faceva a pugni‭ (‬o meglio un incontro di wrestling‭) ‬con un’imbranataggine imbarazzante e una fame atavica di esperienze.‭ ‬Gli ormoni quindicenni si univano,‭ ‬in una miscela esplosiva.‭ ‬Miracolosamente,‭ ‬la miscela esplose ma mancò la mira.‭ ‬Un pomeriggio in cui ero sola mi trovai in bagno con un pacchetto di Aspirina tra le mani.‭ ‬Volevo tornare in ospedale,‭ ‬rientrare in uno stato noto,‭ ‬farmi guarire.‭ ‬Oppure chiuderla lì,‭ ‬era tutto sbagliato,‭ ‬ero un errore da cancellare.‭ ‬Ma prima avrei dovuto risolvere il dubbio improvviso su come andasse la linea melodica dei violini nella scena del campo di asteroidi dell‭‘‬Impero Colpisce Ancora. Rividi tre volte la scena. E tutto il film. E quattro volte il duello.

Alzo gli occhi al cielo davanti alle argomentazioni su come Hollywood non ti dia nulla di vero.‭ ‬Li alzo due volte,‭ ‬perché penso al debito immenso che avrei contratto pochi mesi dopo con un altro film di un regista di stupidi effetti speciali.

Nel marzo‭ ‬1994‭ ‬uscì il nuovo-film-di-Steven-Spielberg, Schindler’s List. Un’ora di coda per placare la mia ossessione dell’essere nelle file davanti; occhi spalancati; odio per le compagne che commentavano quanto fossero fascinosi gli attori; domande su cosa pensarne alla Contini di Storia e Filosofia. Tutto stupendo, e mai avrei immaginato quel che tre ore e qualcosa di cinema avrebbero scatenato.

 

Il pomeriggio non sembrava nulla di particolare:‭ ‬il lettino era diventata una routine dolorosa,‭ ‬ma pur sempre una routine.‭ ‬Il rapporto della settimana iniziò da Spielberg.‭ ‬Ma il solito ribrezzo,‭ ‬questa volta,‭ ‬aveva un suono diverso.

-‭ ‬Ah,‭ ‬vorrei che facessero un film che si chiama‭ ‬La lista di Stalin.‭ ‬Stalin era il peggiore macellaio della Storia.‭ ‬I comunisti…‭ ‬E Stalin ha ammazzato tante,‭ ‬tante persone,‭ ‬più di tutti.‭ ‬L’uomo più schifoso del mondo.‭ ‬E tutti dicono di Hitler.
-‭ ‬Beh,‭ ‬ma comunisti a parte,‭ ‬comunque Hilter…
-‭ ‬I comunisti fanno schifo.‭ ‬Se sei di sinistra,‭ ‬sei comunista,‭ ‬fai schifo.‭ ‬Tu sei comunista‭? ‬Spero di no,‭ ‬ti manca solo quello.‭ ‬Eheh.
-‭ ‬Ma comunque,‭ ‬i nazisti,‭ ‬il film tratta dell’Olocausto…
-‭ ‬Ah,‭ ‬Stalin,‭ ‬quello è vero.‭ ‬Non come…
-‭ ‬Beh,‭ ‬anche i nazisti ci sono stati davvero.‭ ‬I campi di concentramento…
-‭ ‬I campi di concentramento‭? ‬Ahah.‭ ‬Sono tutte panzane,‭ ‬sono tutte cose messe in giro dagli ebrei per farti pena.
-‭ ‬…
-‭ ‬Non lo sai che‭ ‬gli ebrei dominano il mondo? Che sono ovunque, hanno potere ovunque, controllano tutto? Gli ebrei e i comunisti? E tu credi agli ebrei? Noi siamo cristiani! Dobbiamo credere ai cristiani!
-‭ ‬Ma ci sono le prove‭!
-‭ ‬Che vuoi saperne,‭ ‬tu‭? ‬Ti hanno convinta gli ebrei,‭ ‬gli ebrei e i comunisti.‭ ‬Io ho studiato‭!

Mi alzai dal lettino.‭ ‬La signora dottoressa professoressa psichiatra era nel mio campo visivo,‭ ‬e la mia vista era sfuocata.

-‭ ‬Scusi.‭ ‬Quando posso passare a pagare i conti in sospeso delle sedute‭? ‬Chiudiamo qui.‭ ‬Grazie.

Credo che la stronza antisemita abbia detto qualcosa su come sarei finita male,‭ ‬ma non ricordo esattamente.‭ ‬Tornai a casa.‭ ‬Mia mamma era alla sua scrivania in studio‭; ‬dissi che volevo chiudere l’analisi,‭ ‬che ero giunta alla conclusione che fossero tutte panzane e che potevamo usare meglio i soldi,‭ ‬presi l’assegno e lo portai alla figlia di puttana nazista il giorno dopo.

Chiusi i conti.‭ ‬Mi dedicai al liceo:‭ ‬nel senso della vita più che dello studio,‭ ‬visto che ogni weekend uscivo in allegra compagnia,‭ ‬un paio di pomeriggi alla settimana finivano in un film o due per i fatti miei,‭ ‬almeno un altro pomeriggio dormivo come un ghiro per recuperare,‭ ‬un altro divoravo un romanzo‭ (‬regolarmente non compreso nei programmi ministeriali,‭ ‬perché il Cielo non voglia che Guerra e Pace tolga spazio all’onanismo di Gabriele D’Annunzio nel suo Hortus Conclusus). Picchi di studio furioso e intensissimo uniti a un rapido sviluppo dell’abilità di intortare intellettualmente la gente reggevano sempre l’aria di brava ragazza. Partecipai in una canna al concerto dei R.E.M. poco prima che Michael Stipe entrasse in scena con What’s the Frequency,‭ ‬Kenneth‭ ‬e‭ ‬Crush With Eyeliner,‭ ‬stravolgendo il mio equilibrio ormonale in maniera probabilmente irreparabile.

Continuai a non dichiararmi alla Chiara Russo.‭ ‬Mi misi in testa di cercare un ragazzo regolare,‭ ‬anche se non di seguire ciecamente il consiglio di un’amica fricchettona e sessantottina dei miei secondo cui le donne devono muovere il culo e non la testa.‭ ‬Sbagliai tutto il possibile‭ (‬scusa ancora,‭ Patrizia)‬.‭ ‬Finii tra le braccia del Marco Fumagalli,‭ ‬con cui facevamo gli intelligenti parlando di matematica e di opera‭ (‬ma non quella lì,‭ ‬che porta sfiga‭)‬.

Le liti famigliari continuavano‭; ‬decisi che avrei fatto l’università‭ ‬in collegio a Pavia; passai l’esame di ammissione per un soffio, mi sistemai nella mia stanzetta. Le lotte a bassa intensità che possono emergere tra un centinaio di donne italiane tra i diciotto e i ventiquattro anni non mi impedirono di farmi coinvolgere e adattarmi il più confortevolmente possibile. Spendevo ore a studiare Algebra, sapevo ricostruire due dimostrazioni del teorema di Sylow. Avevo smesso di capire o seguire Analisi alla seconda lezione. L’evidente precipizio era mascherato dall’esaltazione per la nuova vita.

Ogni tanto mi trovavo senza preavviso in un febbrone a trentanove gradi,‭ ‬ma non per più di un giorno o due,‭ ‬e senza altri sintomi.‭ ‬Mi prudevano mani e piedi,‭ ‬qualche volta.‭ ‬Il dottore di famiglia mi disse che era solo stress,‭ ‬se mi fossi rilassata sarebbe andato tutto meglio.

Si intuisce facilmente dal titolo di questa serie,‭ ‬non andò meglio.‭ ‬Non tutto,‭ ‬almeno.

Mentre stavo scrivendo questo pezzo,‭ ‬ho chiamato mamma per chiederle se le desse fastidio che parlassi della sua depressione.‭ ‬Quando le ho nominato Prato allo Stelvio‭ (‬Prad am Stilfserjoch‭)‬,‭ lei ‬ha quasi rinnegato la sua persona di donna di scienza e scetticismo a tutto tondo,‭ ‬e si è assicurata che avessi vicino a me dell’aglio,‭ ‬un ferro di cavallo,‭ ‬qualcosa.‭ ‬Le ho detto che un amico mi aveva mandato da Napoli un‭ ‬curniciello‭; ‬ha approvato.

Prima che si mettano in giro strane idee,‭ ‬avverto i lettori che non ricordo nemmeno l’enunciato  del teorema di Sylow.‭ ‬Ho controllato online quale fosse il teorema con tre dimostrazioni nel Topics in Algebra di I.N.Herstein.

Stavo per spedire questo pezzo per la pubblicazione,‭ ‬quando ho deciso di controllare di non aver fatto errori di stampa.‭ ‬Il file si è rivelato corrotto e illeggibile.‭ ‬L’ho aperto con gedit e ho recuperato a mano. L’ho detto che quell’opera lì porta sfiga.

 

 

Marta Maria Casetti è milanese e da sette anni e mezzo londinese. Tra la fine dello scorso millennio e l’inizio del presente ha scritto recensioni cinematografiche e in un paio di casi anche televisive per [Duel] (noto anche come Duellanti). Non sa a memoria “Der Ring des Nibelungen” di Richard Wagner ma ci sta lavorando. Dovrebbe riordinare i suoi blog e affini; al momento la trovate soprattutto sul tumblr Feathers e su Twitter. La sua cartella clinica pesa davvero più di venti chili al netto di lastre e TAC. 


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